Orphan Black è una di quelle serie che capita una volta nella vita. Una di quelle capaci di unire il brivido del trhiller, il fascino della fantascienza e l’emotività toccante di una serie drammatica, il tutto legato strettamente da un impianto narrativo solido e da una performance artistica toccante a dir poco. Sì perché Orphan Black parla di donne, donne clonate e sparpagliate in ogni angolo della terra, ma tutte interpretate dalla stessa attrice: Tatiana Maslany.
Nominata ad un Golden Globe, vincitrice di un Emmy e di una mezza dozzina di altri premi internazionali, questa donna di appena 32 anni ha dato vita a Sarah, Helena, Crystal, Betty, Cosima, Allison e tantissime altre sue cloni, tutte studiate con un carattere diverso, mai banale e sempre in grado di emozionare, ciascuna a modo suo. Ma facciamo un passo indietro: la storia comincia quando Sarah Manning (la Maslany, appunto) assiste al suicidio di Elizabeth Childs, una poliziotta che è praticamente identica a lei, tranne che nei vestiti e nel portamento. In una condizione di forte indigenza, decide di prendere possesso dei suoi beni approfittando dell’aspetto per poter fuggire dalla città in cui vive, insieme al fratello Felix (Kristian Bruun) e alla figlia Kira (Skyler Wexler), ma si trova costretta ad interpretare la parte della defunta anche quando il suo partner, il detective Bell (Kevin Hanchard), la spinge ad indagare su alcuni casi che si stanno verificando nella città. Poco a poco, l’animo della detective entra anche in Sarah, che si troverà così a conoscere molte più cloni di quanti ne avrebbe voluti. Ma non è la sola a cercarle…
La serie, come si accennava nell’incipit, è una mistura ben riuscita di fantascienza (o sarebbe meglio dire sci-fi), thriller e drama, senza che uno di questi aspetti prevalga mai sugli altri. La serie trova inoltre molto spazio per le risate ed il clima familiare, costruendo personaggi appositi (come Crystal ed Allison, sempre la Maslany) che però non risultano mai pretestuosi o archetipali. Di certo, però, ogni singolo personaggio è sopra le righe e l’intera storia a volte tocca un po’ il surreale, come fanno notare gli stessi personaggi quando si trovano di fronte all’impossibile. Questo potrebbe scoraggiare qualche utente tradizionalista (la serie è intrisa, pregna di alternative), ma alla fine riuscirà a conquistare anche il cuore più duro. Da guardare se l’ibrido non vi spaventa, e se per voi “umano” è qualcosa di più di una semplice etichetta.